SISTER JOAN MY FIRST FRIEND IN KENYA

IMG_0937Sister Joan è una di quelle persone che quando le vedi, hai voglia di abbracciarle. Sin dal primo incontro ho provato una forte simpatia per lei. Ha uno sguardo vivace e – come la descrive la delegata italiana per la Missione del Cottolengo in Kenya e Tanzania, Suor Francesca, che la conosce sin da quando era aspirante, è buona e gioviale.

IMG_0748Vive e lavora alla Missione del Cottolengo di Chaaria, nel Meru in Kenya, dove è responsabile dell’Occupational Therapy per i Buoni Figli[1]. Ho visto ogni giorno come Sister Joan dirige le attività e con quale dedizione, intelligenza e cura si occupa, da ben da quattro anni, del laboratorio dei Buoni Figli e i risultati sono lì da vedere. La prima cosa che salta subito all’occhio è che i ragazzi partecipano molto volentieri all’Occupational Therapy, spesso infatti sono già pronti ad entrare nel laboratorio mezz’ora prima dell’inizio delle lezioni. Loro stessi chiamano scuola e non laboratorio la loro l’attività occupazionale, questo li aiuta a farli sentire parte di un tutto e ad avere dignità. Poi va rimarcato che essendo occupati grazie a Sister Joan per diverse ore la settimana, si sentono utili e valorizzati, migliorano e tengono allenate le capacità motorie e non da ultimo si divertono e rilassano.

IMG_0623Gli ottimi risultati conseguiti dal lavoro di Sister Joan in 4 anni mi hanno portata a chiedermi: ma da dove proviene professionalmente ed umanamente questa donna? Che cosa ha fatto in passato? Come ha sviluppato le sue competenze?

E alla mia curiosità Sister Joan ha risposto con il suo grande e luminoso sorriso che ti scalda il cuore ed ha iniziato a raccontarmi la sua vita. Mi ha colpito la sua esperienza pluriennale in settori molto difficili e in 3 nazioni diverse, ossia Kenya, Italia e Tanzania. Così come anche mi ha colpito il suo attaccamento alla famiglia d’origine, quando parla dei suoi genitori e dei suoi numerosi fratelli e nipoti traspare in modo netto l’amore che sente per loro. Anche se li vede raramente il legame è forte ed importante per lei.

IMG_1316Questa suora keniota nata nel settembre 1969 nel County del Meru è entrata in congregazione nel 1990 e ha passato 2 anni a Tuuru per il tempo dell’aspirantato e provandato.

Tuuru è un villaggio vicino al suo villaggio di origine nella quale il Cottolengo ha una sua sede e nella quale ha sviluppato la sua prima missione in Kenya nel 1972.

Tuuru (in italiano si pronuncia “Toru”) è un paese molto esteso, su un’ampia zona collinare vulcanica al limite della foresta del Nyambene, situato ai piedi della catena montuosa del Monte Kenya, a 1800 mt. di altezza. Fa parte del distretto del Meru, da cui dista 66 km, mentre dalla capitale Nairobi dista 400 km. circa. Il territorio di Tuuru, esclusivamente rurale, è povero, solo nella stagione delle piogge coltivano il terreno ma il raccolto è sempre scarso. Fa spesso fresco e a volte anche freddo. Tutta la zona è a alta densità demografica, la popolazione di circa 50.000 abitanti è formata in prevalenza da donne e bambini che vivono in situazione di reale povertà non solo economica ma anche culturale e sociale.

Sister Joan, dopo Tuuru ha prestato 2 anni di servizio a Nairobi durante il Noviziato; nel 1994 è diventata suora; sono seguiti 2 anni in cucina sempre a Nairobi al Centro dei bambini HIV+.

È poi tornata per 1 anno a Tuuru dove si è occupata dei servizi generali (lavanderia , bambini, ecc.).

Nel 1997 viene trasferita in Italia a Torino e presta 2 anni in servizio presso le suore anziane (malate) nel reparto Trinità. Segue poi 1 anno in casa formazione sempre a Torino per la preparazione ai voti solenni conseguiti nel 1999. Si occupa poi di un gruppo di Buone figlie prima a Torino e poi anche 3 anni a Cuneo. In questo periodo della sua vita ricorda in particolare le amate gite in montagna e il forte affetto per le Buone Figlie.

Nel 2002, dopo 5 anni vissuti in Italia, rientra in Africa. Seguono 1 anno di studio per essere formatrice delle giovani, candidate alla vita religiosa e 5 anni a Tuuru come maestra delle provande (ragazze in formazione).IMG_0840

Ritorna poi nella capitale del Kenya, con i bambini e diverse attività come pastorale. Sei anni fa il trasferimento in Tanzania, poi a Mukothima dove svolge 18 mesi di servizio in parrocchia e infine Chaaria, nel Meru in Kenya, missione nella quale ho avuto il piacere di conoscerla e passare un mese con lei e dove risiede e presta servizio da 4 anni.

Sister Joan: una grande donna dal grande sorriso. La mia prima splendida amica in Kenya.

[1] disabili fisici e psichici accolti e ricoverati nel Hospital Centre secondo i principi di San Cottolengo

 

L’ODORE DELLA SOFFERENZA

Una cosa che mi soprende ogni volta che viaggio nel Sud del mondo in zone povere é l’odore della sofferenza. È un odore che senti in India, come nel Laos. Nelle periferie di Mexico DF come anche nel nord del Kenya. Un odore forte che a volte mi fa venire conati di vomito. Conati che neppure riesco a controllare. Mi sorprende questo odore, questa puzza, perché pur essendo questi paesi molto diversi fra loro, l’odore é quello. Certo con sfumature di curry o di fagioli bolliti…ma pur sempre quello. L’odore del dolore e spesso della rassegnazione e della convivenza che diventa accettazione.

Le mie foto non rendono mai l’idea, sono senza odore.

Sofferenza

L’AFRICA ME LA IMMAGINAVO DIVERSA

Giovanna, Pietro, Giorgia, GiorgioGiovanna, Giorgio e Giorgia: tutti e 3 attualmente volontari al Cottolengo Hospital Center di Chaaria in Kenya. Giorgia è un giovane medico di 30 anni specializzando in chirurgia generale, Giorgio e Giovanna i suoi genitori. Sono arrivati due settimane fa e appena li ho conosciuti ho pensato: che belle persone, Giorgio è simpatico e ama far ridere tutti. Giovanna è dolcissima e sempre pronta ad aiutare gli altri.

Giorgia la vedo solo per brevi istanti, lavora in sala operatoria e come tutti i medici è molto impegnata e i suoi orari sono difficilmente pianificabili. È al suo secondo volontariato a Chaaria. Giorgio e Giovanna G TorinoPer i genitori di Giorgia, che l’hanno accompagnata in Africa e prestano servizio presso i Buoni Figli, invece è la prima esperienza di questo tipo. Mi raccontano che l’anno scorso Giorgia non appena rientrata da Chaaria a Torino, ha subito detto: “Tanto io lì ci ritorno”. Loro hanno deciso di accompagnarla. E ora sono qui tutti e 3.

Giovanna e GiovanniGiovanna mi dice di essere stata abbastanza preparata a vedere la disabilità, l’abbandono e la sofferenza, difatti già presta servizio al Cottolengo di Torino, ma aggiunge che qui è comunque diverso, “… è un’esperienza che ti svuota, ti fa pensare a 1000 cose, all’idea che avrei potuto avere un figlio così, e poi vorrei fare qualche cosa di importante per i Buoni Figli (disabili fisici e psichici accolti e ricoverati nel Hospital Centre secondo i principi di San Cottolengo), e a livello medico…magari da noi avrebbero potuto curarlo”.

La mamma di Giorgia dice anche di aver trovato qui un’umanità, una disponibilità e un amore che nell’altra parte del mondo non sempre trovi. Le due cose abbinate sono difficili da trovare.

Alla domanda: che cosa pensi di portare a casa? Mi risponde, non senza un velo di emozione: “I miei pensieri saranno diversi rispetto a prima, troverò sempre più difficile correre dietro alle cose che mi faranno fare nel mio quotidiano a Torino”. Poi aggiunge pensando a Chaaria e pensando anche a come esprimersi trovando i termini appropriati: “Mi sento un po’ svuotata di energia, il lavoro con i Buoni Figli mi assorbe un sacco, mi succhia la linfa. Alla sera se non altro rispetto a casa vado a letto serena e non già pensando al giorno dopo”.

“….questo solo se non ha incubi dovuti al Malarone (terapia antimalarica ndr)” aggiunge suo marito Giorgio con un sorriso contagioso.

GiovanniPoi è Giorgio a parlarmi delle sue sensazioni a Chaaria, dice che si è anche scollegati dal mondo, qua non pensi a nulla, la mente è più scarica che a casa di tensioni e vivi meglio sotto l’aspetto mentale, alle cose futili non pensi. C’è solidarietà e condivisione: i Buoni Figli si aiutano…si aiutano davvero, anche se hanno pesanti limitazioni.

Giovanni e JacintaFa una pausa di riflessione e aggiunge: “Il rientro in patria mi farà vedere le persone di colore in modo diverso, non ho mai avuto preclusioni e neppure contatti diretti prima. Ora vivo le loro emozioni, le ho condivise. L’Africa me la immaginavo diversa, anche se ne ho visto solo un puntino…”.

Giorgio e Moruru

 

 

18:00

Quando la sera finisco di lavorare, spesso ho voglia di uscire dal Cottolengo Hospital Centre nel quale vivo e lavoro. Sento l’incalzante bisogno di prendere una boccata d’aria e fare una piccola passeggiata. Dopo una giornata passata fra disabili e malati, ho bisogno di vedere gente sana.

Esco quindi dal cancello del Cottolengo Hospital Centre verso le 18.00, prima che diventi buio, e faccio due passi. Qui non ci sono lampioni o altre forme d’illuminazione e anche se mi portassi una torcia, sarebbe pericoloso, perciò la passeggiata è davvero breve, 30 o 40 minuti. Breve ma benefica.

Children going back home after schoolMi piace molto uscire a quell’ora perché così incontro i bambini che hanno finito scuola e tornano alle loro case. La strada sterrata difatti a quell’ora in un attimo si riempie di bambini di tutte le età. Ridono e corrono e quando mi vedono, ormai molti mi riconoscono, mi salutano, sorridono e poi via di corsa verso casa. Mi chiedo spesso quanto debbano camminare… so che molti abitano lontano, ma quanto lontano? Le mie conoscenze della lingua locale, il Kimîîru, sono ancora deboli per chieder loro dove abitino con esattezza e soprattutto non conosco ancora i villaggi della zona per capire le risposte che mi darebbero e le relative distanze.

Children going back home after schoolQuesti bambini con i loro splendidi sorrisi, la loro gentilezza e le loro uniformi scolastiche bianche e blu a quadretti mi fanno del bene. Ogni sera.

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DA NAIROBI A CHAARIA – DAY ONE

 

Il mio volo da Istanbul è atterrato a Nairobi alle 3 del mattino del 4 di marzo 2014 in perfetto orario. Joseph, un simpatico e loquace signore che lavora per il Cottolengo, è venuto a prendermi all’aeroporto poche ore dopo l’atterraggio, con l’ambulanza dell’ospedale; mi ha informata che la jeep dell’Ospedale è in riparazione e non utilizzabile per questo è venuto a prendermi con l’ambulanza.

Dall’aeroporto siamo andati a Nairobi-città a consegnare un gastroscopio da riparare in un negozio, ho approfittato dell’attesa di 2 ore, prima che il negozio aprisse e potessimo ripartire, per fare un sonnellino sulle panche pieghevoli nella parte posteriore dell’ambulanza. Di tanto in tanto mi alzavo a sedere e guardavo le persone che stavano camminando, anche se erano più loro a guardare me. Prima che io mi sdraiassi Joseph aveva gentilmente spolverato le panche per me. Poi ho capito perché. L’ultimo tratto di strada per arrivare a Chaaria è sterrata e la Jeep era piena di terra rossa. Inevitabile vista la stagione secca e i nuvoloni di terra che si alzano quando si incrocia un altro veicolo.  Anche con i finestrini chiusi penetra, a parte che con il caldo chiudere i finestrini è dura. Di notte non me ne ero accorta. Non ho mai ne visto ne respirato tanta terra. E avrò certamente modo di respirarne ancora. Devo dire che da vedere è una terra splendida, soffice e argillosa, di un rosso unico.

Durante il tragitto per raggiungere Chaaria, Chaaria è una Town – come mi ha spiegato e ha tenuto a precisare Joseph – e non è un villaggio perché ha degli shops e non è una city perché di city in Kenya ce ne sono 4 e sono molto grandi. Dice Joseph che tutti gli italiani chiamano le Town città,  ma non è corretto.

Chaaria si trova al centro del Kenya, a poco a poco viaggiando sull’ambulanza, lasciandomi alle spalle il caos della capitale ho cominciato a vedere l’Africa, pezzo dopo pezzo sempre più bella, verde, di tanti verdi, con tantissimi fiori e totalmente diversa da qualsiasi paese avessi visitato. L’unico paese in un certo qual modo simile potrebbe essere il Laos. Forse per la pace e per la varietà della flora. O forse per il fatto che è molto pulita. Mi sono detta che forse è perché qui vivono dei frutti della terra e perciò ne prendono cura.

Poi qualche fermata breve per ritirare o consegnare sacchi a persone legate a Chaaria, come ad esempio un sacco di manghi, e dopo 6 ore l’arrivo al Chaaria Hospital Centre. Un senso di quiete, sono arrivata. Tanti mesi di preparazione ma ora sono qui.

Si,….questa prima impressione dell’Africa subsahariana, del tratto da Nairobi al Meru la posso riassumere in…che meraviglia di verdi e quanti alberi da frutta!

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